Soluzioni innovative per il fissaggio in gallerie ferroviarie

Nel cantiere BBT di Fortezza (BZ) si è tenuto un evento organizzato da Fischer Italia sui lavori di quello che è destinato a diventare il collegamento ferroviario sotterraneo più lungo al mondo


Nel cantiere BBT di Fortezza (BZ) si è tenuto un evento organizzato da Fischer Italia sui lavori di quello che è destinato a diventare il collegamento ferroviario sotterraneo più lungo al mondo e sulle precedenti collaborazioni a livello nazionale e internazionale di Fischer, nello stesso ambito applicativo.

Il tema centrale dei lavori è stato quello dei sistemi di fissaggio, affrontato sia sul piano teorico e della ricerca sperimentale con prove al vero, sia a livello di modellazione BIM.

I fenomeni di fatica nelle infrastrutture ferroviarie 

Dopo l’intervento dell’Ing. Thilo Pregartner, Responsabile Fischer per il progetto BBT, incentrato sulle basi teoriche del concetto di fatica (ovvero il fenomeno principale da tenere in considerazione per i sistemi di fissaggio in galleria) e la conseguente scelta di utilizzare la soluzione di ancoraggio FNA II nel cantiere, dall’Ing. Roberto Ronchi è stata presentata un’esperienza precedente maturata da Fischer Italia sull’Alta Velocità con Rete Ferroviaria Italiana, per delle barriere antirumore ancorate con resine epossidiche Fischer e barre filettate standard su dei muri di sostegno in prossimità della linea.

L’ing. Ronchi ha premesso che il fenomeno di fatica non è l’elemento con cui sono abituati a operare gli Ingegneri Civili, più avvezzi invece a lavorare con carichi quasi statici, e a considerare il momento e il taglio generati alla base dalla sollecitazione: per colmare il conseguente vuoto normativo, i Tecnici di Fischer Italia si sono proposti di costruire un protocollo di prova in grado di dimostrare se la struttura fosse in sicurezza, e lo hanno fatto simulando esattamente le condizioni applicative, ovvero inghisando delle barre M30 a una distanza dal bordo di circa 6 cm.

Nei laboratori Fischer sono stati svolti successivamente dei test su calcestruzzi di classe molto bassa (C20-25), con profondità di posa tipiche di queste applicazioni, su barre M16 e M30.

Per analizzare il comportamento a fatica di questa applicazione, Fischer Italia si è avvalsa della collaborazione dell’Università di Padova, che ha definito allo scopo un apposito protocollo scientifico.

La campagna prove è stata condotta presso i laboratori Fischer a Denzlingen, in Germania. Il dispositivo di prova era costituito da un telaio di acciaio (tripode) provvisto di attuatore idraulico controllato mediante un sistema computerizzato. Le principali caratteristiche erano una forza statica massima di 250 kN, una forza dinamica massima di 200 kN e una frequenza massima di 15 Hz.

I Tecnici si sono posti alcuni obiettivi principali: analizzare l’influenza del diametro sul comportamento a fatica dei sistemi di fissaggio testati, evidenziando il meccanismo di cedimento e controllando lo stato della resina al termine della storia di carico; tracciare le curve di Wöhler (elemento fondamentale per capire il comportamento a fatica) dei sistemi di fissaggio esaminati; confrontare, nel caso di cedimento della barra filettata, i nuovi dati sperimentali con quelli relativi ad altre unioni filettate disponibili nella letteratura tecnica recente; confrontare le curve relative ad una probabilità di sopravvivenza pari al 97,7% con quella proposta dall’Eurocodice 3 (che tratta i sistemi in acciaio) per barre filettate e bulloni.

I 2 milioni di cicli di carico previsti dalla prova, considerando un secondo per ogni ciclo di carico-scarico della struttura, avrebbero richiesto in condizioni normali un tempo pari a circa 25 giorni, rendendola dunque particolarmente onerosa a livello di tempi e costi. Tuttavia, i laboratori Fischer avevano in dotazione una macchina in grado di lavorare a 15 Hz, che ha consentito di completare il test in tre giorni. Le prove sono state monitorate in continuo registrando forze applicate, spostamenti, temperatura e numero di cicli. L’obiettivo finale era quello di creare uno strumento di calcolo: si trattava quindi di riportare l’analisi scientifica compiuta a un protocollo normativo consolidato, che consentisse un dimensionamento e una presa di responsabilità con firma del Progettista.

Tutti i campioni testati hanno evidenziato la stessa modalità di rottura, indipendentemente dal diametro e dalla profondità di ancoraggio: il cedimento si è manifestato sistematicamente nelle barre con inizio in corrispondenza del primo filetto impegnato sotto il dado. La resistenza a fatica delle barre M16 e M20 è risultata superiore a quella suggerita dall’EC3 (FAT50) per bulloni e barre filettate soggetti a fatica.

È stata determinata anche una nuova banda di dispersione analizzando i nuovi risultati insieme a molti altri tratti dalla letteratura tecnica. Il valore di riferimento a due milioni di cicli è risultato essere pari a 112 MPa (con riferimento ad una probabilità di sopravvivenza Ps = 97,7%) per barre di diametro uguale o minore di 20 mm. La pendenza inversa della banda è risultata leggermente superiore a 4.0, contro una pendenza 3.0 suggerita dall’EC3.

Tutte le barre filettate, aventi diametro nominale pari a 30 mm, hanno mostrato una resistenza a fatica inferiore a quella dei campioni sopra citati, in relazione al regime di vita a fatica esplorato, N < 2 × 105 cicli. Per le barre M30, la curva di progetto fornita nell’EC3 poteva quindi essere presa come riferimento.

A questo tipo di analisi è stata riconosciuta valenza scientifica, e sono seguite partecipazioni a convegni e pubblicazioni su riviste internazionali, tra cui un articolo pubblicato sul n° 5/2010 di “Material Science and Engineering Technology”, scritto dall’ing. Ronchi di Fischer Italia e dall’ing. Francesco Mutignani insieme al Prof. Paolo Lazzarin dell’Università di Padova e a Jürgen Grün, Direttore del laboratorio Fischer di Denzlingen.

Superata la prova a trazione si è passati a quella a taglio, più complessa per via delle forze parassite.

Il test in laboratorio è stato realizzato con un foglio di teflon inserito tra la piastra in acciaio e il calcestruzzo per eliminare l’attrito, stavolta con l’appoggio da parte di un laureando dell’Università di Padova, che nello stesso periodo stava lavorando a una tesi volta ad analizzare il problema.

Sono emersi risultati diversi a seconda dei carichi: rottura della barra appena fuori dal calcestruzzo in presenza di carichi bassi; ovalizzazione del calcestruzzo e successiva rottura per carichi elevati. L’impiego del sistema FHPD in versione V sulla parte a taglio è stato scelto appositamente per prevenire tale problema.

Anche a seguito di questa seconda analisi è stato prodotto un articolo, che ha visto la collaborazione dell’ing. Angelo Vittozzi di Italferr con il Prof. Lazzarin, l’ing. Ronchi e l’ing. Mutignani.

Si è arrivati quindi alla creazione di uno strumento estremamente versatile da consegnare al Progettista, e basato sull’Eurocodice 3, molto indicato ad esempio nei casi in cui è necessario predisporre un piano di manutenzione.

I rivestimenti per le stazioni sotterranee e le soluzioni per le correnti vaganti 

Il secondo intervento dell’ing. Ronchi ha riguardato un’altra importante commessa di Fischer, sempre nell’ambito dei trasporti, ovvero i sistemi di fissaggio per 17 stazioni della metropolitana di Copenaghen, concepite secondo criteri contemporanei che non prevedono più la creazione di semplici luoghi di attesa, ma moderni hub commerciali con soluzioni architettoniche articolate.

La progettazione è stata realizzata interamente in tridimensionale ed è stata il frutto di una collaborazione diretta tra Fischer e Archem. L’esigenza era quella di lavorare su rivestimenti estetici in grado di diventare intercapedini variabili, con distanze molto ridotte tra paramento in pietra e supporto in calcestruzzo, e allo scopo sono state adottate soluzioni inusuali.

I requisiti funzionali erano diversi. Oltre a garantire sicurezza in ambienti soggetti ad affollamento, si trattava di consentire l’ispezionabilità dei sottoservizi e la sostituibilità delle lastre di rivestimento rotte: servivano dunque sistemi che consentissero di accedere alla parte posteriore del rivestimento, e per questo motivo è stata impiegata la tecnologia del FZP con tassello sottosquadro a scomparsa, con relativa sottostruttura che facilita le operazioni di smontaggio e rimontaggio.

Un altro aspetto importante è quello della durabilità in ambienti aggressivi, per garantire la quale è necessario tenere conto del fenomeno delle correnti parassite.

Il treno, ha spiegato l’ing. Ronchi, è alimentato a corrente continua attraverso la catenaria, e il circuito si chiude attraverso il binario, ma se non ci sono corretti isolamenti, nel caso in cui il sistema intercetti un elemento conduttore (ad esempio una tubazione nel terreno) si ha una migrazione di ioni che determina fenomeni di corrosione per correnti vaganti nel tratto anodico.

Nel corso della presentazione è stato mostrato anche un caso affrontato in precedenza: quello di alcuni vani tecnici della Stazione Roma Termini, interessati da tale fenomeno. Nell’occasione, RFI ha imposto una specifica tecnica per valutare il comportamento elettrico delle resine Fischer, e il sistema, approvato dopo vari test riguardanti sia il materiale in sé che le condizioni applicative, ha garantito ottime performance.

Ecco gli argomenti emersi dalla nostra successiva intervista agli ingg. Ronchi e Zordan.

“Strade & Autostrade”: “ing. Ronchi, nei suoi interventi ha parlato anche della collaborazione avviata da tempo tra Fischer e il mondo universitario. Quali sono gli atenei italiani con cui avete un rapporto più stretto?”.

“RR”: “Per continuità territoriale, ovviamente, il primo ateneo con cui collaboriamo è quello di Padova. Stiamo lavorando anche con Trento su altri temi, ma il canale preferenziale rimane quello padovano. Tra l’altro, il nostro fondatore, il Prof. Fischer, ha istituito il Premio per l’Eccellenza Accademica Klaus Fischer in collaborazione proprio con l’Università di Padova, rivolto a studenti che si distinguono con proposte di tesi innovative e di interesse”.

“S&A”: “Quando si pensa a Fischer non vengono in mente per prima cosa i fissaggi per applicazioni in gallerie ferroviarie, ma nella BBT fornite soluzioni che rappresentano lo stato dell’arte in materia. Ci vuole parlare più nel dettaglio di questo lavoro?”.

“RR”: “Quello che dice è corretto, ma in realtà abbiamo lavorato in tutti i consorzi dell’Alta Velocità realizzati in Italia, in particolare un cantiere molto simile per CAVET, dove c’erano circa 70 km di galleria su 78 di linea. Il tema in questo caso è legato a delle soluzioni di fissaggio che saranno identificate con le specifiche evidenziate prima nei miei interventi. In particolare si è parlato di una catenaria rigida: immagini cosa può voler dire tenere fissati 63 km di profilo su una volta di una galleria dove passa un treno Alta Velocità a 250 km/ora, pur mantenendo tutti i requisiti di durabilità (il tunnel, in quanto tale, ha alcune criticità proprie come quelle legate ai fenomeni di corrosione per correnti vaganti) e soluzioni di dimensionamento per carichi dinamici”.

“S&A”: “Quanta importanza rivestono le prove al vero per la simulazione delle condizioni applicative?”.

“RR”: “Prima di tutto ringrazio per la domanda, perché consideriamo veramente importante il fatto di riuscire a svolgere delle prove al vero, dal momento che in questo modo si eliminano tutti i fattori di scala e le incertezze legate a delle schematizzazioni compiute in fase di progettazione della prova, e si possono verificare senza dubbio alcuno le condizioni realmente rappresentative dello stato di esercizio, o, come nel caso delle prove sismiche, di situazioni particolari che la struttura si trova a vivere quando viene sollecitata. Le prove al vero rappresentano quindi certamente un plus e ritengo che si impari moltissimo da esse, perché consentono di cogliere elementi che diversamente non sarebbero desumibili. Per concludere, sono convinto che le prove al vero siano la base da cui partire per procedere verso una schematizzazione, e non il viceversa.”.

“S&A”: “Vuole parlarci della collaborazione tecnica di Fischer con Rete Ferroviaria Italiana e Italferr?”.

“RR”: “Quella con RFI prima e Italferr poi è una collaborazione ormai datata, nel senso che abbiamo iniziato a lavorare con loro già dal 1996-1998, sull’utilizzo di resine per il fissaggio di grappe nelle volte delle gallerie. Per noi si tratta di interlocutori di prestigio, che rappresentano i vertici tecnologici italiani e svolgono lavori anche all’estero: essere considerati loro partner per quanto riguarda la parte del fissaggio è sicuramente un plus. Mi permetto di aggiungere che la stessa policy viene adottata per altre committenze che ci rappresentano a livello mondiale per quanto riguarda le infrastrutture: Metropolitana di Milano, Metropolitana di Napoli, la stessa Ansaldo. Lavoriamo anche con ANAS, per quanto riguarda i sistemi di smaltimento acque dei viadotti. Noi abbiamo un atteggiamento molto rispettoso nei confronti delle Committenze, ma riusciamo a offrire una focalizzazione specifica sul fissaggio: nell’ambito della progettazione, di cui si occupano realtà come quelle appena citate, per noi il progetto consiste nel fissaggio, e su questo aspetto possiamo concentrare tutte le nostre competenze e attenzioni”.

“S&A”: “ing. Zordan, come viene coperta la parte di supporto ingegneristico?”.

“Luca Zordan”: “La struttura ingegneristica di Fischer Italia è costituita da un team interno di Ingegneri che lavora in sinergia con gli Studi di progettazione e i nostri Installatori partner sul territorio, oltre che sulla nostra rete distributiva più storica, che è la rivendita. Quando il problema da affrontare si fa più tecnico ed è necessario un dimensionamento, ci sono ingegneri altamente preparati che possono affrontare la questione. Negli ultimi anni si è aggiunta inoltre una divisione esterna, sempre di tecnici – per lo più ingegneri – altrettanto preparati ma con un approccio frontale con il Cliente. Non aspettano richieste dalla sede, ma hanno come primo interlocutore il Progettista, e riescono a soddisfare, crediamo nel miglior modo possibile, le sue esigenze a partire dall’approccio teorico e di soluzione fino ad arrivare alla prova sul campo in cantiere”.

“S&A”: “Per i test vi servite esclusivamente del vostro laboratorio di Denzlingen o anche di altri, ad esempio quelli universitari?”.

“LZ”: “Non utilizziamo solamente i nostri appoggi presso le sedi tedesche, ma abbiamo anche un laboratorio interno, presso la sede di Padova, e ci serviamo anche di laboratori certificati del territorio italiano con una dotazione idonea ai test. Non siamo assolutamente vincolati all’una o all’altra sede”.

“S&A”: “Quali sono i vostri obiettivi per il futuro e a quali mercati guardate con maggior attenzione?”.

“LZ”: “Come Fischer Italia, sicuramente abbiamo obiettivi molto chiari, che sono quelli di mantenerci nella nostra posizione di assoluta importanza nel mercato del fissaggio leggero, ma al tempo stesso rafforzare sempre di più la credibilità e l’incidenza nel mercato del fissaggio strutturale, in ambito sismico e non. Questo vale anche per le altre famiglie di prodotto, legate più alla sistemistica di installazione meccanica, quindi non solo dedicate al mondo dell’infrastruttura, ma strettamente collegate a essa. Abbiamo visto anche nella visita in cantiere di oggi quanti sottoservizi sono applicati all’interno di una galleria: quello è un sistema che Fischer è in grado di supportare, sia tecnicamente che con lo sviluppo di prodotti e di soluzioni.

A livello di aree geografiche, ad oggi abbiamo delle consociate molto forti in alcuni Paesi, mentre ci sono altri mercati, come quello americano, in cui siamo presenti con una sola delle nostre famiglie prodotto, e in cui ci proponiamo di espanderci”.

sc10-cd-1